domenica, marzo 4

Mano nella mano

02.03.2017
Chiude la portiera senza sbatterla, salutando i bambini sul sedile posteriore della berlina del Vice Comandante dei ribelli. Ringraziato per lo strappo fino sotto casa, in compagnia degli AC-DC per coprire il suono dei ricordi a cui non ha potuto sottrasi una volta richiusa la porta dietro le spalle. C'è silenzio nell'appartamento, quello scomodo che ti spinge a cercare di riempirlo con qualsiasi cosa, così accende la radio per sentire meno la distanza. Tira il telefono in bagno, il cavo lungo perchè comprarsi un cordless è troppo e quello funziona benissimo. La finestra aperta, il chiacchiericcio del radiogiornale a cui non da alcun peso e la chiamata regolare, fissa per parlare con il proprio figlio. Liam ha più o meno l'età di Johnny, forse si passano una mezza dozzina di mesi. La voce allegra cinguetta un sacco di cose sconnesse ma non le importa davvero, lo ascolta cercando di seguire la logica inattaccabile perchè semplicemente loro ne sanno di più dall'alto della loro brevissima esperienza, ma più fresca della tua. Non le pesa sentire di nuovo Cian, non le pesa il fatto che le ricordi ancora una volta di non essere una buona madre.

- Quindi preferisci che se ne occupino i miei mentre sono via?
- Cian ne abbiamo già parlato, starà meglio con i tuoi, manterrà la sua routine, i suoi amici. Farlo venire qui non è una buona idea, questa città è matta e tra sei mesi poi che faremmo? 

Il silenzio dall'altro capo del telefono sa di accusa, cocciuta, e di rancore non espresso, quando sai di aver toccato i tasti dolenti e il fastidio dell'aver ragione senza bisogno di doverlo sottolineare. La vocetta di sottofondo continua a raccontare di come abbia fatto pupazzi di neve, di come il suo amico del cuore abbia ricevuto in regalo i primi pattini da ghiaccio e sente il suo ex marito promettere che li comprerà anche a lui. Lei ride appena.

- Non viziarlo troppo, se li deve guadagnare i pattini.
- E' un bravo bambino, se li merita.
- Figlio di suo padre, mh?

Il commento non trova eco di divertimento dall'altra parte. Sospira semplicemente, rilassando le spalle e buttando la sigaretta nella tazza del wc. Saluta, piegando appena la testa di lato, scivolando indietro svuotata di energie come ogni volta che riattacca dopo aver parlato con il suo ex marito.

Il tuffo sul divano è una ricerca di calore, l'incarto del fish&chips appoggiato sul tavolino da caffè. La radio passa grandi classici del rock, si è incastrata sui Pink Floyd, il cellulare incastrato sotto i cuscini. Infila la mano, scavando alla ricerca di qualcosa. La birra scura scivola senza peso lungo l'esofago, soddisfacente contro la punta di aceto buttata sulle patatine salate all'eccesso. Spazia con lo sguardo, nessun movimento, non una coda che scodinzola, non passi che si spostano nella casa, tutto immobile e quieto. Finisce la cena, buttandosi addosso una felpa troppo grossa scende nel vicolo dietro casa. Una scatola grossa di cibo per cani, inizia a suddividere il cibo in ciotole abbandonate lì, coperte dal tetto della casa. Fischia, richiamando i randagi della zona, abituati a venire nutriti a giorni alterni. Riempite le ciotole fa qualche passo indietro per osservarli mentre si avvicinano, diffidenti ma troppo affamati per non cedere alle lusinghe. Si siede sui propri talloni ad una manciata di metri di distanza ad osservarli litigare per l'ultimo boccone, scodinzolare di misera soddisfazione. Osserva quelli più bulli che cercano di rubare il cibo ai più deboli e piccoli, e chi si ingegna per rubare un boccone a destra e uno a sinistra, poi c'è quello impavido e ruffiano, che si avvicina troppo, che annusa e si allunga uggiolando a cercare di leccare il cucchiaio con cui ha distribuito il pasto e lei glielo cede, con un sorriso che non mostra i denti e lo sguardo che non incrocia quello degli altri. Solleva l'attenzione alla scala antincendio, lì dove Mark era solito piazzarsi a redarguirla di smetterla a dar da mangiare ad ogni randagio che incontra. Iris Jr. davvero la mette a disagio, perchè nei suoi occhi intelligenti teme di vedere il riflesso di quella che è diventata, senza patine ad edulcorare la realtà. Il rapporto che la piccola ha con il fratello maggiore riesce a battere su una ferita che non si rimargina mai. Spazia sul vicolo e ogni mattone le ricorda qualcosa, così decide di lasciare i cani e tornare su a casa. 

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Il suo diciottesimo compleanno incombeva ma non c'era la solita elettricità nell'aria. La casa era un peregrinare costante di parenti, amici, familiari che venivano a salutare, chiedere come stesseMarie e tutti ad evitare accuratamente di domandare dove fosse Colin. Nan non faceva altro che prendersi cura di un involucro ormai privo di energie, mangiato da un male che nessuno riusciva a curare nonostante fossero sempre più all'avanguardia in fatto di cure mediche. Lei passava i pomeriggi a pettinare i capelli castani, i riflessi rossastri si erano spenti e ingrigiti come i suoi occhi verdi, patinati di stanchezza e arrendevolezza, nonostante si ostinasse a sorridere con orgoglio malcelato.

- Prometti che li terrai d'occhio per me, babygirl?
- Two eyes, as much as I can spare, mum.
- Good.

Il sorriso non le si incrinava, resisteva alle intemperie come fa una casa solida con le fondamenta piantate a fondo nella terra. Però anche le case più salde possono tremare e crollare, quando la scossa è troppo forte. Non importa quanto ci si prepari, quanto si sappia che la fine incombe, fa male quando perdi qualcuno che ami e non ci puoi fare niente. Quando si spense lo fece in silenzio così come aveva vissuto, all'ombra ma solida, presente senza far pesare e spesso data per scontato. Colin aveva ottenuto un permesso speciale per lasciare lo stato del Massachusetts, 48 ore di tempo per seppellire la propria moglie e poi tornare in carcere a continuare a scontare la propria pena. Lui c'era, a baciarle teneramente le tempie mentre le ultime gocce di morfina si portavano via il dolore, trasportandola in un sonno senza ritorno, tra campi verdi e scogliere scoscese sotto la luce di un cielo libero. C'erano tutti, tranne uno. In ogni volto che si affacciava alla porta Cori cercava i tratti familiari del proprio fratello. Il pomeriggio arrivò con la pioggia, un acquazzone improvviso e inaspettato, talmente forte da far vibrare le finestre percosse dalle gocce spinte dal vento forte. Quando Mark arrivò tutto era immobile, uomini grandi e grossi con passati discutibili alle spalle erano piegati su bottiglie di alcol a ricordare con tristezza languida una donna che li ha amati come fratelli, figli e famiglia. Corinna invece aveva la testa ritta, le spalle allargate. La postura non era dissimile da quella di Nan ma la vecchina era salda per esperienza, non per tensione e rabbia. Quando il fratello apparve oltre la porta lei gli fu addosso in un paio di secondi e la casa esplose nel tumulto. Colin era pronto a bloccarla, ma venne fermato dalla sua stessa madre con addosso uno sguardo ammonitore. Calci, pugni e non una parola. Sfondaron una porta perchè lei dovea sfogarsi, sì ma lui non ci stava, non ad essere picchiato senza una spiegazione e, di conseguenza, si è trovato a reagire di rimando. Non era la prima volta che Mark e Cori si picchiavano, è sempre stato il loro modo di ristabilire l'ordine delle cose e tanto era sempre lei quella che pagava il prezzo più alto, un braccio rotto, qualche dente saltato, occhi neri e chi più ne ha più ne metta. Non ricordava nulla di quel giorno salvo una cosa, la rabbia di suo fratello che le abbaiò contro un netto e cattivo:

- You are not my baby-sitter

Le hanno raccontato che la sua risposta fu una testata che costò a Mark un setto deviato e litri di sangue sparsi sul pavimento di casa a cui ha posto rimedio lei stessa, inzuppando asciugamani, curando le stesse ferite che aveva inferto nel più cocciuto silenzio in cui l'abbiano mai vista chiudersi. 
Al funerale erano entrambi lividi, ma a salutare i boccoli castani e il bel sorriso di una bocca larga e piena di vita erano fianco a fianco, mano nella mano. Brother & Sister.