Le epifanie arrivano sempre quando meno te l’aspetti, o non sarebbero epifanie d’altronde. Per lei capita in momenti discutibili, per lo più legati a sregolatezza e mancanza di amor proprio. Di norma il copione prevederebbe lei a sostenere la fronte di qualcun’altro, brilla abbastanza da riderne ma non sbronza abbastanza da finire per collassare a propria volta. Da che il fratello e i suoi compari l’hanno battezzata nell’alcol non ha mai perso completamente il controllo se non in rari casi e a quanto pare qualcosa l’ha spinta fin oltre il limite. Spalancando gli occhi verdi, acquosi e arrossati per lo sforzo, si affaccia sulla tazza di porcellana di un appartamento nella North che non è il suo. Le dita callose le sorreggono la fronte, si impigliano tra i capelli mentre ricaccia anche l’anima tra le lacrime e la frustrazione. Di solito è lei a prendersi cura degli altri così, era il suo compito, il suo ruolo e trovarsi in quella situazione non fa che acuire il senso di insoddisfazione e fastidio. Svutata di energie e di forze si accascia come un sacco di iuta e viene prontamente raccolta, con la ritrosa rude dolcezza di qualcuno che non è affatto abituato a dover essere l’infermiere di turno. Un caffè nero e lenzuola che sanno di fresco sono un toccasana così come lo è l’assenza assoluta di domande, il silenzio comprensivo di chi ti conosce da una vita e non ha bisogno di sentirti parlare per sapere come stanno le cose.
Ha esagerato, lo capisce semplicemente da come le tremano le dita, da come le ginocchia stentino a reggerla, da come il battito cardiaco sia impennato. Ha esagerato e lo capisce dal sapore che le raschia in gola, non importa quanti caffè butti giù o quante aspirine prenda. Le tempie, quelle non perdonano, ha un dannato martello pneumatico nella testa e niente sembra riuscire a spegnerlo. Non si vergogna, di rannicchiarsi su di un letto che non è suo diritto occupare, così come non prova vergogna nel pietire braccia robuste entro cui nascondersi per soffocare le lacrime frustrate contro il cuscino che si sporca di trucco e che poi dovrà pulire. Odia essere vulnerabile e allo stesso tempo non riesce ad evitare di finire costantemente in difetto. Eccedere nell’alcol questa volta non le è servito. Non è bastata la sbronza a scacciare gli incubi, non trascina il corpo in un sonno senza sogni com’è successo per notti passate, tutte le notti passate da quando ha avuto il faccia a faccia con Matt che ancora la tormenta. Ha espresso i propri dubbi con sincerità a Darius, dubbi legittimi che nella sua testa filano come una storia già sentita da qualche parte. Non è abbastanza. Non lo può essere perchè lei non si sdoppia e quando cura lo fa lentamente, non ha la magia di Routh e, sopra ogni altra cosa, i mali della testa la spaventano da morire. Quando spalanca gli occhi è madida di sudore, un profilo incombe su di lei e la confusione viene subito annullata da un odore. La memoria olfattiva è qualcosa di meraviglioso, ha la capacità di evocare cose di cui si credeva di aver perso ogni traccia. Sbotta a ridere, nervosa mentre scivola via dalla stretta protettiva per infilarsi in bagno, buttarsi sotto la doccia e uscirne ripulita, almeno all’esterno.
Fa un ampio respiro ma le spalle sono curve, il peso al centro dello sterno lo sente agitarsi. Allunga la mano, la passa sul vetro appannato e si fissa in viso. Lo vede fin dentro le ossa, il male di cui le parlava la nonna da bambina. Una condanna, tramandata per generazioni, di padre in figlio, di madre in figlio. Annidata tra i geni di cui tanto fieramente si vanta con gli altri c’è quella malinconia che consuma, figlia di un popolo perennemente sconteto, insoddisfatto, che non dimentica mai i flussi migratori, le invasioni, gli abusi di governi la cui sovranità non è al popolo, l'aggregarsi in comunità che sono famiglie, che inseguono le radici e le piantano, infestanti come la gramigna in giro per il mondo. Però, nonostante l'abilità ad adattarsi, ad infestare resta sempre l'irrimediabilmente afflizione del mal di casa. Nan lo diceva sempre, quelli come loro sono destinati a soffrire, perchè è nel loro DNA. Non importa quanto diluito nel tempo sia il legame con la madre patria, l’Irlanda ti ruba un pezzo e se lo tiene stretto come una madre possessiva.
Nell’affacciarsi dal bagno contempla il profilo di Ryan e un ricordo la colpisce come un pugno alla bocca dello stomaco.
Aveva 15 anni la prima volta che viaggiarono tutti oltre oceano e l'Irlanda non era nulla di quello che le avevano raccontato. Papà non faceva altro che abbracciare gente, stringere mani e caricare le bisacce della moto. L’MC era tutto raccolto poco fuori la periferia di Belfast; da ogni parte del globo motociclisti e pezzi delle loro famiglie, un’unica grande tribù accomunata principi solidi -a detta loro- e simboli stampati con l'inchiostro sulla pelle e con la stoffa sulla schiena dei gilet. All’epoca aveva una visione particolarmente romantica della vita dei membri maschili della sua famiglia. Era l'unica femmina del gruppo e la cosa non compiaceva affatto la nonna, ma lei non volle sentire ragioni. Fece il diavolo a quattro pur di andare con 'i ragazzi' a visitare gli amici e vedere quello di cui aveva sempre solo sentito parlare, nelle canzoni, nei racconti, il posto a cui tutti erano così dannatamente fieri di appartenere. Si sa però che i racconti e la realtà non sempre coincidono. La polizia era ovunque, i confini pattugliati, ma i pub erano pieni di musica e vitalità. Da Belfast dovevano raggiungere Dublino passando il confine in una processione che richiese non poche autorizzazioni, e lei avrebbe viaggiato con papà, come aveva promesso spesso ma mai fatto. Documenti sempre pronti per passare i blocchi, mazzette che passavano di mano in mano, una ragazzina che in qualche modo fungeva da imbonitore. Una mezza pinta di Guinness originale, sotto banco perchè ancora non aveva l'età era il suo premio inconsapevole di essere uno strumento agli occhi del padre, o semplicemente, preferiva già all'epoca non sapere e fingere che tutto andasse bene.
Per lei che era nata e cresciuta negli stati uniti non era semplice capire cosa ci fosse di così complicato nell'unire due pezzi di una sola piccola isola minuscola, il paese in cui è nata di stati ne comprende 52 di cui uno sparso nel Pacifico come briciole di pane e una fetta praticamente in culo all'Artico, la voglia di capire il perchè di barriere, posti di blocco, lingue e colori differenti la spinse ad interrogare uno degli amici di vecchia data di Mickey che stava con loro. Lo sguardo di biasimo che le riversò addosso una domanda innocente, portata senza riflessione e senza sfondo, a piantare il seme. E così fu che venne spiegato tutto. Da Cromwell e la tirannia, Orange Walks, Cattolici e Protestanti, Easter Rising, Original IRA, Collins, Lynch, Bloody Sunday, Bobby Sands, P-IRA, R-IRA, New IRA. Scissioni, bombe, morti, attentati. Case in fiamme, bambini e donne uccise. Abusi, soprusi, dolore ad una manciata di km da dove stavano loro. Comprese in quel momento perchè la nonna ripeteva che erano dei dannati, perchè le storie, quelle cupe di guerra e ribellione riuscivano a toccare le viscere, farle torcere nel fastidio dell'impotenza, scoppiavano di rabbia e incomprensione. Sentire sempre una sola campana, quella intimamente legata al senso di unione. Si ritrovò con i lacrimoni senza nemmeno capire perchè, la mano di papà sulla testa, una coccola come non ne aveva mai ricevute, che sapeva di consolazione. Colin era fiero dei suoi figli, della sua famiglia, ma le effusioni non erano da lui, non da quell'uomo alto e scuro, con troppe rughe per la sua età e gli occhi spiritati, densi di rabbia bruciante che lo ha consumato in fretta assieme al suo fegato.
Quella sera - lo ricorda improvvisamente - dormì accoccolata tra Mark e Ryan, aggrappata alle magliette di entrambi perchè la birra le faceva dondolare la testa e i racconti le diedero gli incubi. Ha sempre avuto il vizio di cercare qualcuno che scacciasse i suoi mostri, se non era papà era Mark, se non era Mark era Ryan, se non loro Cian. Gli irlandesi non sono fatti per stare soli, ma irrimediabilmente ci finiscono. E' la loro croce, il loro tormento. Quando riemerge dai ricordi si ritrova a specchiarsi nei suoi occhi scuri, il calore del corpo prossimo, l'odore della pelle, di una canna di troppo e il sapore di birra sulle labbra. Ha smesso da tempo di essere quella bambina, ma ancora riesce a farsi sorprendere dalle emozioni altrui, che sia rabbia, o paura, o desiderio. Il respiro, improvvisamente accelerato lo sente infrangersi contro il viso, l'attrito tra pelle e asciugamano gradualmente viene meno e quando tra le scapole sente premere debolmente lo stipite della porta del bagno chiude gli occhi, rilasciando la tensione. E' un attimo che quella tensione torna ad annodarle i muscoli: la stanza inondata dalle note di Sunday Bloody Sunday degli U2, la luce led dello schermo illuminato che spezza ogni equilibrio. Entrambi voltano la testa di scatto, perchè entrambi sanno cosa significa quella canzone. L'ha messa lui per lei, l'ha associata lui ad un numero che ha stentato a inserire in rubrica ma che si ostina a tenere nel portafogli. Le sue labbra si muovono, un debole 'Cannot catch a break' esasperato le fa arricciare un sorriso debole, colpevole mentre le bacia la cicatrice sulla spalla e lei scivola via, lanciandosi contro il comodino per recuperare il telefono ma il nome sullo schermo non è quello che si aspettava e il cuore le si spezza, ancora una volta, come infinite volte prima di quella quando si è permessa di sperare e di farsi illudere. Ringhia quando risponde e dall'altro capo si alza un muro indignato di silenzio.
- Che cazzo vuoi?
- ...
- God have mercy, Cian, che c'è?
- Ti sei dimenticata di chiamare, te l'avevo chiesto come favore personale.
- Shit... I... mi spiace
- Yeah, I know. Lo so che ti spiace, ma mai abbastanza. Listen, se non vuoi parlarne basta che lo dici.
L'urgenza le si infila tra le costole e stringe il cuore con dita gelide. Ruba una sigaretta dal pacchetto di Ryan e si chiude in bagno, seduta sulla tazza a discutere con il suo ex marito per non sa nemmeno lei quanto e quando riemerge, confusa e preoccupata si rende conto di essere di nuovo sola. Lui non c'è, lo ha letteralmente fatto uscire dalla sua stessa casa in cerca di una boccata d'aria. Ruba una felpa, un pantalone di tuta in cui navigano le gambe snelle che raramente mostra. Il brivido preoccupato viene presto scalzato da uno spiffero che le si arrampica lungo la cervicale e le fa finalmente notare che la finestra è aperta e le chiavi del pick up sono ancora appese al muro. Si infila sulla scala antincendio trovandolo sul tetto in maniche corte a sbollire l'ennesima delusione. Il sospiro le si annoda tra le labbra in cui affonda gli incisivi, lui evita di guardarla ma sa che è lì e alla fine si arrende richiamandola con un cenno come farebbe un padrone con il proprio cane dopo che gli ha distrutto casa e hanno litigato.
Gli scivola in braccio a cavalcioni, affondando le dita tra le ciocche che ha scorciato sotto sua insistente richiesta, sforzando il suo viso affinchè lo sollevi per schiantare le labbra contro le sue, affondare un bacio morbido ma allo stesso tempo privo di quell'elettricità che è stata irrimediabilmente soffocata dal suono del cellulare. La presa sui fianchi è possessiva ma non affamata, gli occhi tornano a specchiarsi e la malinconia di lui colpisce nel profondo.
- I'm sorry.
- I know.
- I miss him.
- Me too.
Per la prima volta da quando si sono ritrovati parlano di lui apertamente, prima era solo sussurrato, legato ad episodi e rapidamente accantonato perchè la ferita fa male e non solo a lei. Il non sapere di norma è la sua regola per dormire sogni sereni, ma nel caso del fratello è costante, doloroso, logorio, un'emorragia a cui non riesce a porre rimedio, che non riesce ad arginare non importa cosa faccia. Dicono che nessuna notizia sia una buona notizia, ma non dopo una guerra come quella passata di cui ancora il mondo porta feroci cicatrici, non quando si tratta di un fratello, un patriota, un fuggiasco.
- Cosa voleva tuo marito?
- Ex
- Same thing, che voleva?
- Se ne vuole andare in missione
- You gotta be kiddin' me, e Liam?
Non ne vuole parlare. Lo guarda negli occhi e tace, ingoia il silenzio a bocconi amari e semplicemente gli si stringe addosso.
- Ci facciamo una birra?
- Non hai bevuto abbastanza?
Non ha tutti i torti. Sono troppe notti di fila che si addormenta solo per effetto dell'alcol e così non va. La resa le piega le spalle, gli scivola tra le dita con indolenza, trascinandosi a stento in piedi mentre lui finisce l'ultima sigaretta e lei striscia di nuovo dentro l'appartamento, allungandosi sul divano che ha coattamente occupato. Si schiaccia tra i cuscini, improvvisamente sottile, svuotata di tempra e resistenza, molle. Sente i passi scendere pesanti e far vibrare il metallo, il sospiro pesante, paziente, mentre la guarda e chiude la finestra. Il peso docile che le si abbandona accanto, che si addossa rubando coperta, insinuando la mano attorno alla vita per tirarsela possessivamente contro, cercare una posizione comoda per entrambi in un divano troppo piccolo e finisce per sorridere, ascoltare il respiro di Ryan che via via si fa lento, pesante, a mano a mano che sprofonda nel sonno e alla fine riesce a contagiare anche lei. Dorme, finalmente. Dopo giorni stancanti a lottare contro i suoi stessi limiti, dorme e non ha paura degli incubi perchè c'è qualcuno che li scaccia per lei ancora una volta.