martedì, gennaio 23

Acqua e whiskey

23.04.2027

Quando rimette piede in casa mancano una manciata di ore all’alba. Getta le chiavi sul mobiletto accanto l’ingresso e si trascina fino al bagno. La luce, quando accesa, ronza e la costringe a chiudere gli occhi e schermarsi il viso, alcune tracce di sangue sulla manica del trench le ricordano che non è stata una buona giornata. Apre l’acqua, lo scroscio gelido richiede un po’ di tempo perchè arrivi alla temperatura che le serve e si prende quel tempo per iniziare a spogliarsi. Il trench è da buttare, i fori e le chiazze di sangue non passerebbero inosservate. Svuota le tasche con metodo e lo getta in un angolo. Il maglione scuro è quello che più le dispiace, era di Mark, uno di quelli che gli aveva fregato anni addietro e ancora lo teneva con molta cura. Fa passare le dita tra i fori incrostati di sangue rappreso, il suo sangue, non quello di qualcun’altro stavolta. Il maglione lo lascia cadere in un catino, scegliendo di cercare di porre rimedio. Jeans, maglietta, intimo. Tutto il resto finisce nella pila da buttare, bruciare nel bidone dei rifiuti. Cammina scalza per casa raggiungendo la radio che accende a caccia di una di quelle frequenze nostalgiche capaci di mettere molta musica e zero chiacchiere per tutta la notte. Quando la becca le strappa un sorriso, la canzone “Girl you’ll be a woman soon” ha qualcosa di terribilmente familiare che però va oltre la gara di bevute con un figlio di Ade. Misura gli spazi che conosce come le proprie tasche, ritrova una dimensione che ha il sapore della sicurezza, per quanto da una parte nella testa la voce della coscienza le ricordi che non è al sicuro da nessuna parte. Apre un sorriso, fugace, ferito prima di versare due dita di whiskey in un tumbler di cristallo vecchio quanto la sua bisnonna e tornare in bagno.

Il bicchiere appoggiato in bilico sul bordo, l’acqua bollente che scorre addosso ma l’odore resta. Un odore pungente, fossilizzato, che non ha nulla a che vedere con i sapori provati qualche ora prima. Non una pinta in compagnia di una ricercata allo Shamrock con un cadavere nel bagagliaio, non il sangue e la nausea, l’acidità a raschiare le corde vocali. Non l’adrenalina, lo sforzo, l’asfalto viscido, i liquami di vicoli abbandonati a loro stessi tra sporcizia e animali. E’ un odore che le si è piantato nel cranio la prima settimana passata in Sierra Leone. L’odore che ha il terreno zuppo di sangue ed escrementi, talmente duro e secco, privo di acqua, da assorbire ogni cosa e diventare plasmabile come la creta ma il tanfo... quello ti si infila nel naso e brucia i recettori.

- Chiamami se senti odore di merda.


Così le ha detto Legion mentre spariva nel tramonto, infiammato dai riflessi di un sole morente. Avrebbe voluto rispondere a quella Shell che non lo sa più distinguere, l’odore di merda da qualsiasi altro odore, perchè quello non se lo leva più dalla testa, dall’anima. Alla fine ha optato per la risposta diplomatica, tranquillizzante. Sotto il getto d’acqua non importa quanto sapone usi, l’odore di morte non se lo leva dalla testa. Una morte che valeva...

- Cento fottuti dollari... così poco vale una vita in quel posto

Non riesce ancora a crederci. Se li avesse avuti li avrebbe spesi, ma con quale rassicurazione? Ed è stato tutto per nulla. Si tocca il fianco, tra le cicatrici vecchie non ce ne sono di nuove solo per merito di Routh. C’è un angolo di lei che continua a ripetersi di non fidarsi, che probabilmente l’ha aiutata solo per tornaconto personale, o per senso di colpa. Scrolla la testa, rannicchiandosi sotto il getto che inizia a diventare freddo. E’ un’ora che sta sotto l’acqua e i pensieri ancora non se ne sono andati, il sonno non arriva e la voglia di vomitare non passa.



Fa un passo fuori dalla vasca, la radio ha cambiato regime, un lento, infinitamente triste, un Nat King Cole d’annata con quella voce inconfondibile riempie le stanze vuote di una casa assolutamente immobile, improvvisamente troppo fredda. Il senso di oppressione le chiude il petto. Ingolla il liquore e lascia il bicchiere accanto a quello dello spazzolino, solleva lo sguardo torbido a specchiarsi e quello che vede è il profilo di qualcuno che non riconosce. Ha spaccato il braccio ad un uomo. Ne è assolutamente certa, un uomo che stava solo facendo il suo lavoro... ma un lavoro che porta ad uccidere persone per soldi si può definire tale? Se non si fosse intromessa forse...

- Shit

Avvolta nell’asciugamano verde chiaro si china sulla tazza, raccoglie i capelli e ricaccia anche l’anima. Solo bile, paura e cattive sensazioni, assieme ad un paio di mix alcolici poco rassicuranti. Ha le lacrime agli occhi, frustrazione, insoddisfazione personale, dispiacere. Tossisce convulsamente fino a sentire male alle costole. Tira lo sciacquone e si alza, si mette a sedere sulla tavoletta chiusa e aspetta che tutto si plachi, in un rituale che ormai ha radicato nel sangue. Asciuga i capelli, si butta addosso una felpa, un paio di pantaloni di una vecchia tuta. Carezza il fianco distesa sul divano, la coperta tirata su. Le dita toccano pelle integra lì dove bruciava il piombo e sprizzava sangue. E da lì inizia la conta, passando sulla cicatrice del cesareo, quella di quando le hanno rimosso la milza spappolata, di quando si è presa la prima ‘pungicata’ per essersi messa in mezzo affari che non la riguardavano. Risale con le dita lunghe, nodose e forti nonostante paiano fragili come il vetro. Un buco di proiettile alla spalla sinistra, attraversata da parte a parte, uno al polmone destro, uno alla bocca dello stomaco. Il braccio spezzato, la lacerazione del polpaccio sinistro per colpa del filo spinato, il buco lasciato dai chiodi nella coscia destra quando si è spaccata il femore. Il novanta per cento dei segni che ha addosso se li è presi per lo stesso identico motivo: incapace di stare al proprio posto.

- You never learn little sister


Trasale di colpo, spalanca gli occhi e si guarda attorno, stordita. Il cuore in gola, violento, feroce e una sensazione di smarrimento che prevalica ogni altra cosa. Si guarda a destra, a sinistra, apre le porte, spalanca ogni finestra lasciando entrare la luce di un mattino cupo e freddo ma di lui non c’è traccia. Si è addormentata contando le cicatrici come fossero percorelle. Una manciata di tranquillanti, mezzo dito di whiskey e il desiderio bruciante di tornare a dormire sul divano fino all’alba del giorno dopo ma il suo cervello già sta macinando. Idee, pensieri: propositi. Ha smesso di credere nei propositi per il nuovo anno, lo ha detto a Darius mentre lo visitava con le costole rotte e l’ennesima sequela di lividi. Alza lo sguardo e inquadra il biglietto da visita, un numero che durerà due settimane ha detto la shell. Un numero che infila nella tasca della giacca quando esce di casa sbattendo la porta con una manciata di ore di sonno sulle spalle e troppi pensieri ad appesantire il cuore. Ha finito le sigarette.