venerdì, gennaio 26

Il posto perfetto

26.01.2027 

E’ la quarta volta che si rigira sul divano che non è suo. Il respiro denso che viene dalla camera da letto penetra tra le tempie e la tiene con lo sguardo spalancato mentre macina costantemente idee. E’ da quando ha intrecciato i passi di Julia che ci pensa. E peggio ha iniziato a metterli verde su bianco – e poi verde su verde – dopo che Irene le ha ceduto un paio di fogli colorati che hanno cavato dalla testa altre cose, tra la lista di quello che serve, dove può reperirle, come arrivare ad ottenerle senza doversi esporre. Ha promesso un profilo basso, ha promesso un posto che non causi problemi e non attiri attenzioni indesiderate e ci sta mettendo il cuore. Sbuffa. La coperta è diventata un bozzolo in cui si è annodata. Scalcia per trovare aria, insofferente, incapace di aspettare la mattina. Ha la trepidazione di un bambino che aspetta Babbo Natale ma è troppo maledettamente testarda per farsi aggredire dagli assalti del sonno alle spalle. 

Pianta i piedi scalzi a terra e si issa a sedere sul divano. Lo sguardo allargato è vivo e animoso, si fissa sul buio fino a che non definisce con certezza le forme, abbastanza per poterle schivare senza rimetterci una rotula non essendo uno spazio che le è completamente familiare. Si alza, lascia che la coperta sbrogli la matassa da sola raccogliendosi attorno le caviglie per abbandonarla lì come una seconda pelle e strisciare verso la camera da letto. Dal respiro che sente ancora chiaro sa che quella povera anima che le ha dato un divano per la notte sta dormendo sonoramente, ma non ce la fa. Da quando erano bambini lei è la sua spina nel fianco, qualcosa che ti da fastidio ma di cui non riesci a liberarti e alla fine diventa una simbiosi anomala e sbagliata ma pur sempre un legame. Pianta le ginocchia sulla piazza libera, si allunga sulle coperte e striscia fino a guadagnare il fianco, bloccandolo. Gli occhi piantati sul profilo che piano piano emerge nelle ombre della sera densa. Sorride, colpevole e ruffiana allo stesso tempo. Si sporge, soffia piano un richiamo quasi uggiolato, come i cani che grattano alla porta o ti fissano con il guinzaglio in bocca. Un respiro più profondo degli altri, un movimento più coordinato, sono i sintomi che qualcosa ha fatto breccia. Si sposta da sopra le coperte, si infila sotto e il tepore ammansisce i muscoli, senza però riuscire a scalfire la determinazione di essere una rompipalle. 

Ogni femmina sa diventare approfittatrice se torna comodo e quando si conoscono i propri polli le cose diventano sempre più facili. E’ come un copione già scritto, ripetuto e ripassato fino a sapere a memoria le parti di entrambi. Nel dormiveglia è come un cucciolo che si muove a casaccio, per quanto le mani grandi non abbiano nulla dell’innocenza di un animaletto, anche la vicinanza non si sporca di intenzioni a cui debba porre rimedio. 

- Mi serve un favore... 
- Mh? 
- Mi serve un favore... 
- Non ora... 

La voce impastata biascica e struscia le sillabe, il respiro le si infrange contro il collo, le mani le spostano i capelli e la barba struscia contro la pelle senza pungere perchè troppo lunga per risultare ispida. Lei lo lascia fare, lascia che si prenda spazio, che metabolizzi le sue intenzioni senza opposizioni dure, senza muri contro cui rimbalzare. Lo accompagna verso quello che le serve, un po’ più manipolatoria del solito ma per una causa che le batte in testa come un martello pneumatico. Quando la preme con le spalle sul letto e la sovrasta lei ha un sorriso aperto ma che fende il buio come la lama di luce attraverso le imposte al mattino arriva a pungere con allegria. Una mano le mappa il fianco sinistro, l’altra trova l’interruttore della luce sul comodino. Gli occhi che la fissano sono piccoli e sospettosi, incrostati di sonno e arrendevolezza. 

- Cosa vuoi Cor? 
- Mi accompagni a casa? 
- Oh Jesus Christ, can’t you wait until morning? 
- No. 

La risolutezza che gli sbatte in faccia è come una secchiata di acqua gelata. Sbuffa, borbotta, appoggia la fronte contro il suo sterno e nasconde il viso facendo i capricci come un bambino. Qualsiasi tensione potesse esserci è andata spegnendosi in quel preciso istante, con una sola sillaba che spezza l’equilibrio e la vede troneggiare ancora una volta con il carattere di merda che si ritrova.

- Ti odio. 
- Lo so, mi accompagni? 
- Ovviamente. 

La voce è ovattata, le parla contro il torace, mordendo la maglietta che indossa per scaricare un po’ di frustrazione, giusto quell’animosità che avrebbe chiunque nel venire svegliato apposta solo per essere rotto le scatole. Lei però lo coccola, con una gratitudine che non esprime a parole ma fa filtrare tra i gesti, le dita che passano tra le ciocche troppo lunghe, che cercano di far emergere il broncio dal proprio sterno e costringerlo ad impattare fronte contro fronte, stampando piccoli baci puliti a casaccio prima di lasciarlo vestirsi in santa pace, senza mettergli più fretta nonostante stia fremendo sotto pelle e abbia già acceso la seconda sigaretta in poco tempo. 

Correndo su per le scale per poco non si cappotta, inciampando. Si tuffa in casa con la furia di un tornado, buttandosi nell’armadio per uscirne con addosso discutibili combinazioni di pezzi che per lo più appartenevano ad altri in altre epoche storiche quando le mode erano... altre. La povera anima che ha svegliato dal proprio sonno ad aspettarla sotto con il pick up blu a motore ancora acceso perchè in fondo non ci doveva mettere poi tantissimo. Il gruignito indisposto lo scioglie con l’entusiasmo di una ragazzina che si fionda sul sedile unico che unisce guidatore e passeggero spalmando un bacio che sa di pane e marmellata sulla guancia barbuta. 

- Hai preso quello che ti serve? 
- Sìììììì! 
- Devi smetterla con gli zuccheri cazzo 
- E tu smettila con il broncio, ormai il sonno è andato, rassegnati e guarda che bella giornata! 
- Fa un freddo cane. 
- Mantiene meglio, avanti passiamo da Paddy che voglio vedere se ha ancora quelle vecchie latte di vernice per interni. 
Come un capitano sulla prua di una nave punta all’orizzonte e segna la rotta, entusiasta e piena di emozioni positive nonostante l’impegno che si delinea tra fogli verdi e fazzoletti dello Starbucks sia tutt’altro che semplice. Lui che la conosce sa che non ci sono Santi che possano opporsi alla sua cocciutaggine, non quando è in modalità uragano. Ma lui deve tornare a lavoro, l’officina ha bisogno di lui per cui l’abbandona a metà strada, lasciandola a scarpinare i restanti due blocchi come una scolaretta diretta alla lezione. La sera prima si è segnata i riferimenti, adesso sa come trovare il suo punto perfetto e da lì è tutta discesa.