martedì, gennaio 23

Familiar faces worn out places

23.01.2027
Doveva solo comprare le sigarette. Invece si è trovata praticamente prelevata sotto casa senza una spiegazione e senza un motivo tangibile, qualcosa che valesse la pena davvero. All'inizio, come ogni cosa nuova stile Paese delle Meraviglie, per un attimo solo ha creduto che potesse essere una buona giornata, ma poi Lui le ha ricordato che tutto quello che inizia a merda finisce peggio.

Ha perso la cognizione di quanto tempo sia passato e quanto asfalto abbia calpestato, quante volte si sia girata su sè stessa a controllare, cercare segni di un passaggio, qualcosa di familiare in un dedalo di strade ma alla fine ha risolto nella maniera più semplice. Cinque sigarette dopo ha smaltito in parte. La mano è tornata ferma ma lo stomaco resta chiuso. Nel profondo sta ancora inveendo contro Maximilian Ethan Lee e le sue idee del cazzo – che sembrano tanto un fottuto rapimento -, ma almeno all’esterno è calma, abbastanza da cercare di accostarsi a qualcuno che si fa i fatti propri, offrire una sigaretta e chiedere per favore se potrebbe indicarle la via più facile per uscire dal Groundwater, il cui nome nemmeno sa. Sa solo che è un posto di cui, fuori da lì, non dovrà più ricordarsi. Un posto neutrale come aveva cercato ma che, ora come ora, non è così sicura di voler frequentare. E sale di nuovo, un fremito di rabbia che chiude i pugni e le spalma sulla bocca un sorriso plastico. Sfiata una risata nervosa e si scusa ma alla fine la via gliela indicano. Da lì fa un paio di passi, si volta e poi torna indietro per lasciare il pacchetto come un ringraziamento aggiuntivo, tenendo solo una sigaretta per sè. E con il ringraziamento aggiuntivo arriva anche una richiesta goliardica, che però ha un preciso scopo: trovare un tabaccaio vero significa raggiungere una zona che non sia supposta come Deserto. Si accoda alle risate corali, almeno sulle prime, ma poi lo sguardo sbattuto e la stanchezza sembrano attecchire e far sfumare il tutto in una sequenza di occhiate dubbiose che hanno il netto sapore del ‘ci è o ci fa?’. 

- Seriamente, come ci arrivo a piedi?
La pazienza che le riservano è una manna dal cielo. Non avrebbe sopportato ancora di doversi ergere contro l’ennesima testa di cazzo saputella. Memorizza ogni passaggio e quello che non riesce a memorizzare se lo scrive sull’avambraccio, dovendo ripetere fino allo sfinimento che ‘sì, ha il permesso e no, non causa guai ma sì, se vogliono chiedessero a Lee’. Quando passa oltre tutto e ritrova l’aperto il sole è già sparito dietro le rovine e lascia il cielo ancora acceso, il tempo di prendere quei punti di riferimento e farci un percorso, fidandosi esclusivamente di quello che le è stato detto. Testa bassa e scarponi ormai impolverati, la sicurezza della pistola incastrata tra le costole e la marcia, con una canzone tra le sinapsi che rimbalza. Era da un po’ che non camminava così tanto, ma quando smetti di pensare e vai in automatico, puoi fare un sacco di cose. Come obnubilare un intera mattinata buttata al cesso per... niente, se non un principio di ulcera probabilmente. E non ha mai smesso di ringraziare che le cabine non siano state dismesse. Fruga nelle tasche e recupera quanto serve per fare una chiamata, una sola, un numero che digita di riflesso senza pensare. Suona. Suona ancora e quando risponde la voce che non sentiva da troppo ha un’esitazione.

- H-hey, it’s... ahm, me, Cori... potresti venirmi a prendere? Sono... 

Si guarda attorno. Sfarfalla le ciglia per mettere a fuoco i cartelli stradali, a caccia di vie che non hanno più nome. Trova un’insegna, un riferimento, un nome e semplicemente resta ad aspettare, rigirando quella sigaretta tra le dita, aspettando per accenderla fino a che non è troppo tardi. Chiude gli occhi, improvvisamente esausta, così tanto da non riuscire a reggere la testa che ciondola fino ad impattare con la nuca contro la seranda polverosa e rovinata in un suono troppo forte e che riecheggia vuoto oltre i vetri infranti di quello che un tempo era un barbiere. Incastra il filtro all’angolo delle labbra e cerca l’accedino. Stanca. Svuotata dal costante scornarsi con un essere dalla testa dura quanto la sua, sgradevole fin dentro le ossa. Lo sente ancora bruciare nella pancia, il fastidio che ha ingoiato e il veleno che ha sputato. Non sente fame, pur essendo ormai calata la sera e passate ore dall’ultima volta che ha mangiato qualcosa. La testa naviga in un senso di insoddisfazione che aveva dimenticato ed è riemerso, prepotente e feroce nelle ultime 24-48 ore. Ripercorre i propri passi indietro e poi di nuovo avanti e non trova giustificazioni, nè per sè stessa, ma tantomeno per lui. 

Quando sente il rombo della moto solleva la testa di scatto e di nuovo tira una testata, che non fa nemmeno male tanto sono ovattate le sensazioni. Mette a fuoco il profilo del rider e poi semplicemente si issa, per caracollare poco dopo alle sue spalle, slanciando la gamba per finire sulla sua sella, le braccia allacciate e il muso nascosto dietro la schiena, la guancia premuta contro la toppa sulla giacca di pelle. Riapre gli occhi e il soffitto su cui li spalanca non è il suo, così come non è sua la tazza di caffè che fa capolino sopra la sua testa e altrettanto non è sua la faccia che la segue. La barba troppo lunga, così come i capelli e la voce scura che le da il buongiorno anche se è sera, nemmeno troppo tarda. 


- Quanto ho dormito? 
- Solo un’oretta, niente di che 
- Right... I – ehm – grazie per, insomma... 
- Yea, don’t mention it. So... come stai? 

Solo ora, che è rannicchiata sul divano di un altra persona si rende conto che erano anni che non lo vedeva e che nonostante il tempo sia passato non è cambiato di una virgola, a parte la barba troppo lunga e così i capelli. E’ imbarazzata, di essere corllata davanti a lui, di mostrarsi stanca e abbattuta da una giornata o una serie di giornate come ne ha affrontate tante. 

- Sto invecchiando 
- A me sembri sempre la stessa, Cor 
- Yeah well... not likely. So... tu come stai? 

L’aria impacciata inizia a dissiparsi solo quando partono gli aneddoti di quando erano ragazzi, e da lì è tutta discesa anche senza alcol. Si affaccia fuori dalla finestra e non riconosce nulla perchè non è come quando erano ragazzi, il Pocket lui lo ha lasciato da tempo per infilarsi in affari di cui non vuole sapere nulla nella North Town, ma la moto è rimasta, tenuta ancora come fosse la cosa più preziosa dell’universo. E poi le sovviene, un lampo. E’ dalla mattina che è fuori casa e non ha controllato la segreteria. 

- Posso usare il tuo telefono? 

L’assenso arriva sotto lo scroscio della doccia e si sposta in punta di piedi per non fare troppo rumore. Ascolta i messaggi rigirando una ciocca attorno le dita e quando arriva alla fine è già un turbine mentre si riveste, inciampando e sbattendo il ginocchio contro lo spigolo del letto. Saltella per abbottonarsi i jeans e si affaccia al bagno implorando un passaggio per questioni lavorative che però tiene per sè. Un po’ si sente in colpa a mettergli fretta. Quando la scarica davanti allo Shamrock con le raccomandazioni del caso pizzica un sorriso gentile, sinceramente apprezzando la cortesia.

- Chiamami quando hai fatto, qualsiasi cosa sia che devi fare... 

Apprezza il fatto che non abbia chiesto, così come quello di restare nei paraggi nel caso di bisogno. Svuota i polmoni, calca il cappellino in testa e si infila nel locale, per ottenere altre indicazioni e capire da lì come muoversi.