sabato, gennaio 20

Sonni e Sogni

Fissa in silenzio e per lungo tempo la bottiglia svuotata sul bancone del Man of Mayham. L'etichetta trasversale del Johnny Walker Red Label spellata per un angolo contro cui infierisce con le unghie piatte, nervosamente. Lo sguardo ha un guizzo, con la coda dell'occhio osserva le lucciole, le scintille di un mal di testa galoppante in arrivo e inquadra la sagoma scura del telefono appeso dietro il banco alla parete. Quando ascolta il suono dello squillo che riecheggia lungo la  linea e si rende conto di che ore siano è già tardi. La voce che risponde dall'altro capo è impastata e sonnolenta.

- Ehi, scusa io...
- Cori?
- Yes, senti mi spiace non so perchè ho...
- Va tutto bene?
- Yes, I guess... I just...

Esita a lungo, non sa nemmeno più per quale motivo si è attaccata a quella cornetta che ora le scivola dall'orecchio, con un sospiro arreso fino a che la vocetta non irrompe dall'altro capo lamentando di mostri sotto al letto e l'incapacità di andare a dormire e ricorda esattamente cosa l'abbia spinta a fare quella maledetta telefonata.

- Can I speak to him?
- A quest'ora non lo so Cori
- Please

Non ha mai implorato con un tono così dismesso di potergli parlare, non ci ha mai messo così trasporto ed è proprio quello che lascia il suo ex marito in tensione, sospeso, per una manciata di secondi prima di arrendersi.

- Mummy?
- Hey baby

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Quando si rannicchia sulla brandina che ha nel retro del locale lo fa con la testa pesante e il cuore affondato, oberato da una mancanza che credeva di poter sostenere fino al pomeriggio di quello stesso giorno quando ha incrociato la strada di un uomo e i suoi due bambini, un uomo che ha fatto scelte difficili ma non quella di lasciare i suoi cuccioli.
Infila la mano sotto al cuscino, trovando la familiare e consolante presenza della pistola e della bibbia, così come le hanno insegnato, così come si è abituata a fare per poter davvero chiudere gli occhi, pregando di non sognare.

Ma ogni volta lo fa.
Sogna.

I calzini allineati sulla coperta ad uncinetto che la nonna le ha fatto quando aveva dieci anni e ancora regge, le magliette tra cui non sa scegliere e la musica troppo alta che fa ruotare con pazienza infinita lo sguardo appannato di una Nan ormai avanti con gli anni ma non per questo più flessibile su certe cose. Le ha lasciato una bibbia dalla copertina nera tra gli oggetti da mettere in valigia, perchè, a detta sua, l'unico modo per affrontare l'inferno in cui ci si avventura è con l'aiuto e col consiglio di dio. 
L'arrivo di Mark è inaspettato, anche se vissuto infinite volte nei sempre ricorrenti sogni. La felpa dei Philadelphia Eagles, i jeans strappati e il sorriso da schiaffi, l'invito a lasciar perdere, il suo trascinarla sempre fuori carreggiata, lontana dalla strada che sceglie di percorrere, per trovare scorciatoie, esplorare altre opzioni. Il cielo stellato sul Pocket ha sempre l'odore di erba, forte, pungente perchè non metteva mai abbastanza tabacco. 

- Così hai deciso, mh?
- Sì, è quello che voglio fare.
- Certo, l'Africa...
- Tu sei ancora convinto di volerci andare?

Idealisti. Così li ha cresciuti Nan. Entrambi convinti e determinati a seguire la strada che desideravano, entrambi abbastanza forti per costruirla qualora non esistesse. Lo ricorda ancora, il respiro profondo che fece Mark prima di infilare il braccio sotto la sua testa e tirarsela vicina, per baciarla tra i capelli che all'epoca portava corti e iniziare a cantare. Aveva una bella voce all'epoca, leggera come lo era il suo spirito nonostante tutto. Lei ha sempre saputo che quando Mark iniziava a cantare era per non dover ripetere qualcosa che già conoscevano entrambi. Il suo odore è qualcosa che sente di tanto in tanto camminando per strada. Scatena ricordi feroci ma allo stesso tempo dolci, come lo fa il tatuaggio sul polpaccio sinisitro: due frecce incrociate, una data di nascita e un 'Little Sister' scritto elegante, fatto assieme a lui quando compì 18 anni, il suo primo.
In quell'abbraccio ricorda chiaramente di essersi addormentata, senza finire di preparare la borsa con la macchina che passava a prenderla alle 8 di mattina per iniziare la sua nuova esperienza con Emergency. Il prossimo cielo sotto cui avrebbe dormito sarebbe stato quello Africano per i successivi tre mesi. 

Rigirandosi nella brandina il cigolio delle molle le rievoca l'ennesimo flash che si mischia ai sogni. Nel sonno turbato e pesante, si confondono i momenti belli con quelli spaventosi. Il ricordo di una tenda, l'aria irrespirabile, il dolore della prima scheggia che ancora morde il fianco di tanto in tanto. La febbre alta e le dita intrecciate saldamente a quelle di un soldato, addormentato al suo fianco nei momenti in cui poteva permettersi di essere lì. Anche quegli odori sono impressi a fuoco nella memoria, l'ospedale civile non ha la stessa acredine, nemmeno la sala operatoria puzza alla stessa maniera. E lui aveva un buon odore, era una ventata d'aria fresca dove il tanfo diventa normalità. In qualche modo le ricordava Mark ma c'era una punta di cuoio in più, più scuro e denso, e il fratello aveva una nota di dolcezza che Cian invece non aveva. Erano differenti ma davano la stessa strana sensazione di sicurezza. 
Il retrogusto asprigno lo davano le sue piastrine, metallico ma non come il sangue. Il ricordo di come le finivano tra le labbra le soventi volte in cui si intrufolava sotto le sue lenzuola quando ormai le ferite erano cicatrici. I tentativi di fare piano, l'incosciente stupidità della giovinezza e la ricerca di qualsiasi brivido ricordasse di essere vivi, fino a sfiorare il proibito e rischiare di venire spediti a casa a calci in culo, insubordinati da inquadrare in caselline troppo strette. Aveva anche un buon sapore, oltre che un odore piacevolmente diverso dalla terra pregna di sangue e sabbia. Non aveva bisogno di un improbabile test di gravidanza per capire di essere incinta, inaspettatamente. Non ha mai provato il brivido di pisciare su una striscetta di reagente, era più semplice controllarsi da soli, almeno lo era lì, in un buco di posto disperso tra un villaggio affamato e una zona di guerriglia aperta. Di certo non poteva andarsene in città a fare una scampagnata, non con l'ultimo convoglio di mucchi d'ossa a malapena in grado di tenersi in piedi da soli da dover visitare e vaccinare. Era la terza volta che tornava in Africa e doveva starci per altri tre mesi, ma il suo stato interessante avrebbe cambiato le cose. O meglio, le cambiò per Cian. Non era pronta alla proposta quando arrivò, ma non seppe dire di no all'anello della nonna piazzato sotto al naso, con tanto di genuflessione in mezzo all'ospedale da campo con tutti gli occhi addosso. Eppure sapeva che nulla di buono può mai venire da un posto infernale come quello, la nonna glielo aveva detto. La normalità che li attendeva di ritorno non era tagliata per nessuno dei due. La bella casa, seppur modesta, un marito gentile ma per lo più non innamorato e un bambino tutto suo da poter accudire non riuscivano in nessun modo a riempire il vuoto pulsante, la sensazione di aver lasciato un lavoro a metà, incompiuto, di essere scappata.

Il sonno senza sogni è qualcosa che ha lasciato sotto i cieli tersi africani. Gli stati uniti sono solo un nugolo di ripensamenti, turbamenti e insicurezze, come la scelta di licenziarsi dalle Thorne Industries? No. Quella era stata una delle poche scelte coerenti fatte da quando è tornata negli states. L'unica sterzata violenta che l'ha rimessa sulla giusta carreggiata, non sogna la Thorne, perchè almeno su quel fronte la sua coscienza adesso è a posto.

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- Mi canti una canzone mummy?
- Sure baby...